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Il presidente-giurato di 'Alice nella città' Matt Dillon: "Vengo a imparare, non a insegnare"

L'attore 52enne torna a Roma in veste di presidente di giuria della sezione autonoma della Festa del Cinema di Roma dedicata a bambini e ragazzi: “Ci sono autori il cui talento è folgorante, altri che crescono strada facendo. A un regista io chiedo una cosa: rischiare”

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Il memorabile momento romano di Matt Dillon risale al 1983. “Avevo affittato una Vespa e me ne andavo in giro per il centro storico quando m’imbattei nel set di Ginger e Fred. Andai a stringere la mano a Federico Fellini. Lui m’abbracciò e m’invito a pranzo il giorno dopo, a Cinecittà. Capirete perché con questa città ho un rapporto speciale”. A contatto con i grandi del cinema mondiale l’attore americano c’è stato fin da giovanissimo. Nel ’79, a 15 anni, era già un giovane guerriero per Jonathan Kaplan, quattro anni dopo Coppola lo avrebbe trasformato nel selvaggio Rusty. Da allora sono trascorsi una cinquantina di film. Dillon torna a Roma da presidente di giuria della sezione per ragazzi Alice nella città a premiare i giovani talenti (consegnerà il Premio Taodue Camera d’Oro alla migliore opera prima e seconda, con lui Anna Foglietta, Claudio Giovannesi, Gabriele Mainetti, Giordano Meacci Camilla Nesbitt e Francesca Serafini). Anche se, l’attore 52enne, chiarisce: “Io vengo a imparare, non a insegnare. Dai colleghi, dal talento dei giovani registi alla loro opera prima”. Forse spaventato dall’ultimo Leone d’Oro da 226 minuti, dice di sperare “in film dalla durata ragionevole”, anche se mitiga il concetto “ok, lo so che non può essere un criterio di giudizio, scherzavo”.

Nella sigla di Alice dei fratelli De Serio un omaggio a Kiarostami

È consapevole che i premi servono eccome, ai film?
“Esserci è già una vetrina, vincere aiuta a farsi finanziare il futuro”.

 Scegliere non è facile.
“Ci sono autori il cui talento è folgorante, altri che crescono strada facendo. A un regista io chiedo una cosa: rischiare”.

Dietro la macchina da presa lei c’è finito a 38 anni, con City of Ghost, film girato in Cambogia in condizioni difficili.
“L'esperienza più grande della mia carriera. Sarò eternamente grato ai colleghi, da James Caan, a Gerard Depardieu, a Stellan Skasgard, che hanno voluto rischiare e seguirmi nella mia impresa”.

Da attore incassa il successo della serie televisiva Wayward Pines, da regista sta finendo un documentario musicale.
“Ci lavoro da undici anni. È un film che unisce le mie due più grandi passioni: il jazz e il cinema. È su Francisco Fellove, un cantante cubano che suonava negli anni '40. Una sorta di Ella Fitzgerald, il suo stile ha influenzato il jazz americano. Lo hanno ribattezzato 'El Gran Fellove'".

Lei è stato prima attore che spettatore, al cinema.
“Dopo Giovani guerrieri, ero ancora un ragazzino, il mio manager mi spediva a un cinema della 99esima che proiettava solo vecchi successi. Il primo film che vidi fu Il contrabbandiere, del ’58. Quello che mi folgorò fu Il postino suona sempre due volte con John Garfield e Lana Turner: mi ha fatto nascere una grande passione per il cinema degli anni Quaranta e Cinquanta. E ovviamente non perdevo nessun film in cui recitavano Marlon Brando, Montgomery Clift e James Dean. Sul fronte italiano la prima regista che mi ha conquistato è stata Lina Wertmüller”.

Che voleva fare l’attore quando l’ha capito?
“Sul primo set ho capito che era la mia strada. Ho assaporato quel potere inebriante che è dare vita a un personaggio”.

Il suo primo provino fu terrorizzante?
“Non sapevo che avrei dovuto essere nervoso, così fui estremamente fiducioso in me stesso. I dubbi, le insicurezze, tutto questo genere di cose sarebbero arrivate dopo”.

Essere un baby attore ha le sue difficoltà.
“Sì. Ero ancora al liceo e già ero un attore professionista. L’anonimato è una fortuna che la maggior parte delle persone sottostima".

Come si sopravvive alla fama di baby attore e ci si costruisce una carriera adulta?
“Per sopravvivere hai bisogno di una grande stabilità, di essere circondato da grandi esseri umani, da grandi registi che ti "infettino" con la loro passione. Sono stato molto fortunato ad incontrare Coppola quando ero solo un ragazzo che affrontava la dura realtà del cinema americano. L’incontro con Francis, che era un Dio per noi attori, mi ha dato grande speranza: ho sentito come tutto era possibile. Come regista dà grande libertà ai suoi attori. Ti dà la giusta dose di istruzioni, ma è sempre aperto ai contributi degli interpreti. Mi ha insegnato a guardare il cinema anche come regista. E quando ho diretto il mio primo film, Francis mi ha dato ottimi suggerimenti sulla sceneggiatura e sul montaggio. E, sapete, anche quando le sue idee non funzionano, sono comunque migliori di quelle di tutti gli altri”.

Che ricordo ha dei set di 'I ragazzi della 56esima strada' e 'Rusty il Selvaggio'?
“Si lavorava moltissimo. Francis era capace di girare per notti intere. Alla fine, dopo aver girato tutta la notte, ci faceva guardare tutti insieme i film dei maestri del cinema. I suoi set non sono solo state esperienze d’attore ma una vera scuola di formazione. E Francis mi ha insegnato il rispetto per la storia del cinema, lui dice sempre: 'I buoni artisti rubano dagli altri artisti'".

Quali registi e attori l’hanno influenzata di più?
“L'influenza più forte è venuto da Marlon Brando, che ho avuto l’onore di incontrare. Quando stavo girando il mio primo film, il regista Jonathan Kaplan mi aveva soprannominato 'Marlon' e questo mi lusingava. Oggi penso ancora Marlon Brando sarà sempre il più carismatico attore d’America. La realtà, la verità e la forza che era in grado di trasmettere nel suo recitare, sono ancora oggi l'alfa e l'omega per ogni attore americano. Coppola invece mi ha fortemente influenzato con il suo forte senso della sfida, l’ottimismo”.

Pensa che gli adolescenti di oggi sono meno ribelli di quelli della sua generazione?
“Gli adolescenti di oggi hanno le loro proprie forme di ribellione. Quando ho iniziato era normale dare spazio ai giovani e ai nuovi talenti. Noi siamo stati fortunati, oggi è tutto più difficile”.

Che consiglio darebbe a un giovane che vuole fare il regista o l’attore?
“Di prendersi cura di tutti gli aspetti creativi, di non concentrarsi su uno solo. Devi saper leggere e scrivere. La mia parola chiave è 'verosimiglianza': è necessario entrare in contatto con ogni aspetto della realtà per poterlo poi restituire".

Come attore cosa cerca?
“Personaggi che accendano il mio interesse, capaci di trasmettere verità. Non devono piacere a tutti, non è importante. Ho scelto questo lavoro non per i riflettori ma per poter essere una sorta di specchio capace di riflettere la verità. Questo è l’aspetto del mio lavoro che mi affascina, ancora, sempre”.

Cosa direbbe oggi al giovane te stesso?
“Ho 52 anni, ma sento di aver ancora molto da imparare. Perciò al giovane Matt direi: continua a studiare, e continua a dare tutto te stesso per le cose in cui credi”.