Spettacoli

CINEMA

Jarmusch: "Ecco il mio poema quieto per celebrare la vita quotidiana"

Il regista ha girato 'Paterson', in sala dal 22 dicembre. L'ultimo alfiere del cinema indipendente americano parla d'amore e buddismo, di poesia e dell'amicizia con Benigni e dell'indimenticabile incontro con Attilio Bertolucci

2 minuti di lettura
Dacci oggi la nostra poesia quotidiana. La preghiera cinematografica di Jim Jarmusch — lui la definirebbe “pseudo buddista” — si chiama Paterson. Nel film il protagonista (Adam Driver) è un autista che si chiama come la cittadina nel New Jersey in cui vive e che cerca bellezza e lirismo nei dettagli di ogni giorno: nella forma speciale di una scatola di fiammiferi, nei discorsi dei passeggeri d’autobus, nelle aspirazioni buffe della donna amata (l’attrice iraniana Golshifteh Farahani).
Un film che s’ispira alla poetica “nessuna idea, se non dalle cose” di William Carlos Williams, ed è strutturato come un poema quieto. Accolto con calore al Festival di Cannes, il film sarà in sala il 22 dicembre.
La prima impressione, all’incontro in un giardino assolato, è che Jarmusch, look total black e chioma candida, possa dissolversi come uno dei suoi romantici vampiri. Invece il regista sbotta in una risata. «Questi capelli bianchi li ho dai tempi di scuola. Le ragazze ridevano “hai dipinto la casa dei tuoi e la vernice ti è rimasta in testa”. Quando è uscito Stranger than Paradise, un critico scrisse “che pretenzioso cretino, si è tinto i capelli di bianco e si veste di nero”. Ho capito che non devi lasciare che nessuno di giudichi per il tuo aspetto».

Cannes 2016, Finos: "Aspettando la Palma, i più amati dal presidente MIller"


“Paterson” è stato definito il suo film più personale.
"Lo dissero anche per Solo gli amanti sopravvivono. Ai tempi di Broken Flowers scrissero “finalmente il film più personale”. Lo sono tutti o nessuno”.
È strutturato come una poesia.
«Amo la variazione e la ripetizione, in poesia, nella musica e nell’arte, che sia Bach o Warhol. Questa struttura è una metafora della vita: ogni giorno è una variazione rispetto a ieri e domani».
Il primo incontro con la poesia?
"Adolescente già leggevo i simbolisti francesi, Baudelaire, Rimbaud. E poi gli americani, Walt Whitman. Quando mi sono trasferito dall’Ohio e ho iniziato a studiare alla New York school di poesia. Con Kenneth Koch, David Shapiro, e Ron Padgett, che ha scritto i versi per questo film. Ho sempre sognato di diventare l’equivalente cinematografico di questo tipo di poesia. Penso al manifesto di Frank O’Hara: “Scrivi una poesia per un’altra persona, non scriverla per il mondo. Scrivila come fosse una lettera”".
Perché ama tanto i poeti?
"Non ne ho mai incontrato uno che componesse per soldi. Williams era un pediatra, Stevens un assicuratore, O’Hara curatore museale, Bukowksi lavorava alle poste. La poesia si fa per amore".
“Paterson” è anche una storia d’amore.
"L’amore tenero tra persone che si accettano per ciò che sono. La forma d’amore più pura è lasciare che l’altro sia se stesso, anche con i suoi difetti. È un principio buddista accettare senza giudicare".
Anche il concetto di armonia, che permea il film.
"Non sono un buddista fervente, ma faccio tai chi e leggo molto di buddismo. Per me l’idea di armonia è legata al concetto che tutte le cose sono una sola".
Lei dove trova l’armonia?
"Nella vita di tutti i giorni. Qualche tempo fa, imbottigliato nel traffico tra il Queens e Brooklyn, mi sono incantato: un tizio che riparava la porta, bimbi all’inseguimento di un pallone, un padre che rideva con il figlio... mi è sembrato tutto perfetto. Lo so che ci sono cose sbagliate in questo mondo. La verità è noi esseri umani viviamo un tempo limitato. Dobbiamo essere grati per ogni piccolo dettaglio, di ogni momento".
Nel film cita Dante e Gaetano Bresci.
"Gaetano Bresci è l’anarchico che a Paterson ispirò la ribellione degli operai della seta, immigrati italiani e irlandesi, bimbi sfruttati. La poesia è uno dei grandi regali che mi ha fatto il vostro paese. Roberto Benigni mi ha iniziato a Dante e Petrarca, mi ha mostrato i luoghi in cui i grandi poeti hanno vissuto. La sua lettura dell’Inferno è stupenda. E poi mi ha introdotto ad artisti come Alessandro Penna e Attilio Bertolucci, che mi invitò nel suo studio: “Roberto mi ha raccontato che tu conosci i poeti americani, vieni qui”. Chiuse la porta, parlammo a lungo di Wallace Stevens e Robert Frost. Roberto mi ha insegnato molto, abbiamo una connessione fortissima".
Lei è l’ultimo alfiere del cinema indipendente americano.
"Una volta mi offrirono un blockbuster, capii che il tizio con cui parlavo non aveva nemmeno visto un mio film, aveva solo letto il mio nome su Variety. In Paterson non c’è azione, violenza, dramma, donne brutalizzate... è il contrario di ciò che Hollywood intende per successo".