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'Anarchy in the UK', 40 anni fa l'urlo punk dei Sex Pistols

Il 26 novembre 1976 veniva pubblicato il singolo scandalo della band di Johnny Rotten, subito censurato dai media. Ma il virus del punk si stava diffondendo in tutta la Gran Bretagna

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La prima volta che i Sex Pistols suonarono Anarchy in the UK dal vivo fu a Manchester, nella seconda delle due storiche apparizioni in città nell'estate del 1976. Erano ormai molti mesi che i loro concerti causavano devastazioni e risse con il pubblico: molti locali, a Londra e non solo, li avevano banditi. Ma Anarchy in the UK fu il vero punto di svolta, la dinamite punk con cui i Pistols distrussero per sempre le regole dell’industria musicale.

Sex Pistols, 'Anarchy in the Uk' live a Stoccolma

 
Il brano, che uscì sul mercato inglese il 26 novembre 1976, era stato registrato nel luglio precedente nella sala prove di Denmark Street da Dave Goodman. Nel documentario diretto da Julien Temple The Filth and the Fury, John Lydon, all'epoca Johnny Rotten, ha raccontato che, scrivendo il testo della canzone, il primo verso che gli era venuto in mente era stato “I am an antichrist”. Pur smentendo a posteriori ogni premeditazione, Lydon aveva comunque usato un’immagine fortemente sediziosa, evocando un’idea apocalittica in un momento storico dominato dalla crisi economica e (soprattutto) ideologica.  
A quel punto, l’unica parola che potesse fare rima era “anarchist”. Come spiega il critico inglese Jon Savage, “nell’ambito della demonologia sociale, l’anarchico era solo una versione più recente dell’anticristo. Nel senso comune il termine significava ribellione e disordine anonimo, letale….”.
Così, già nel primo verso della canzone “I am an antichrist/I am an anarchist” erano stati infranti due tabù e i Pistols avevano esasperato la loro fama di band socialmente pericolosa.

1978, l'ultimo concerto dei Sex Pistols

 
I Pistols parlavano con rabbia e disprezzo a una generazione senza soldi, senza prospettive e senza più ideali. L’hippismo era solo un fastidioso ricordo, il glam era ormai sorpassato e il futuro era un grande buco nero. Rotten attaccava tutto e tutti, compresa la regina Elisabetta, senza timore di profanazione. "Non so quello che voglio, ma so come ottenerlo, voglio distruggerti, perché sono un anarchico e non uno schiavo", urlava nella canzone: il suo modo di scandire le parole era allucinato e spaventoso, pieno di odio. Nonostante tutto la Emi, che cercava di cavalcare l’onda del punk, pubblicò il singolo e le vendite furono confortanti.  

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Ma la major non era pronta per gestire quel caos. Il primo dicembre i Pistols furono maldestramente spediti come ospiti nel programma di Bill Grundy, il Today Show sulla seguitissima tv regionale Thames Television: dovevano coprire un buco lasciato dai Queen. Grundy, con atteggiamento sprezzante, chiese alla band di dire qualcosa di oltraggioso: e loro (in particolare il chitarrista Steve Jones) lo fecero. Rutti, insulti, parolacce, lo stesso Grundy definito "vecchio porco" e poi "vecchio sporcaccione". In un colpo solo, i Pistols distrussero la carriera di un noto conduttore televisivo e portarono il loro status di pericolo pubblico ai massimi livelli.  
Molti media bandirono il brano e la Emi decise di scaricare la band. Ma il virus era ormai nell’aria. La censura trasformò i Pistols in un fenomeno incontrollabile, attraente, spaventoso. Gli occhi sgranati di Rotten erano l’immagine di una rabbia ingovernabile e diffusa. Come scrisse Savage, il suono della band era fatto di “bicchieri infranti e lamette arruginite”. L’incubo del punk esploderà definitivamente nel 1977, con i Pistols sempre in prima fila: God save the queen divenne l'inno di quella stagione folle, velocissima, incendiaria.