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Thurston Moore, dopo Kim e i Sonic Youth: "Se mi ringraziano per le canzoni, sono felice"

Fondatore e chitarrista della formazione noise rock che ha ispirato intere generazioni, dopo la pausa dal gruppo e il divorzio dalla compagna di band Kim Gordon, torna con un nuovo disco solista, 'Rock’n’roll Consciousness': "Non sono uno snob. Queste sono canzoni che voglio suonare molto a lungo, anche dal vivo"

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A volte esistono piccoli e semplici rimedi ai momenti cosmici di infelicità. Per Thurston Moore il rimedio è passeggiare per strada. "Prima o poi incrocio qualcuno che mi saluta e mi ringrazia per tutte le emozioni che gli ho fatto provare con i Sonic Youth, e la giornata mi cambia". Ottima soluzione, ma valida appunto solo per chi ha fatto da parte di una delle band che quelli che vogliono tirarsela un po’ definiscono 'seminali' del rock anni Novanta, inventori di quel genere noise che ha influenzato una generazione: Moore, 57 anni, ne è stato fondatore, chitarrista e motore creativo. Ora che i Sonic sono in pausa, continua con i suoi mille progetti solisti. L’ultimo è il disco Rock’n’roll Consciousness, in uscita il 28 aprile.

Rock, dalle chitarre dei Sonic Youth al pop di Adele: torna Thurston Moore

Cinque sole canzoni, Moore, ma lunghe dai 6 agli 11 minuti l’una. Non esattamente radiofoniche diciamo.
"Ah certo non si diventa ricchi con canzoni così, forse i musicisti dovrebbero capire che le royalty non arrivano in base alla lunghezza dei brani. Scherzi a parte, di sicuro non è un disco nato per essere trasmesso in radio. Anche se mi piacerebbe che qualche emittente avesse il coraggio di proporre canzoni come Aphrodite o Smoke of Dreams. Anche in tv, certo, io non sono uno snob. E queste sono canzoni che voglio suonare molto a lungo, anche dal vivo. Ascolti Cusp, per esempio. Parla della primavera, cioè di un momento in cui sei così vicino a qualcosa da poterlo toccare, ma hai ancora la possibilità di ammirarle in germoglio, di cogliere il divenire".

Che lei non sia uno snob è testimoniato anche da un nome: Paul Epworth, che ha prodotto con lei il disco. Ovvero, il braccio destro di Adele e Florence and the Machine. Realtà pop, di grandissima qualità, ma pop. Che ha a che fare con un santone del rock come lei?
"Appunto, non sono snob. Sono arrivato nel suo studio di Londra, si chiama Church perché è un’ex chiesa, su indicazione di un amico. Già il posto è incredibile: un’ex chiesa, con attrezzature volutamente retrò, magnifiche, ci hanno inciso Dylan, i Rolling Stones, i Pink Floyd. Certo, qualche dubbio su Epworth l’ho avuto, ma già dopo pochi secondi con lui si è chiarito tutto: sarà anche il produttore britannico più in voga del momento, ma è molto più appassionato di musica sperimentale che di pop, e un fan dei Sonic Youth. E abbiamo scoperto di essere nati entrambi  il 25 giugno. Potevamo non andare d’accordo? Ci siamo trovati con una gran voglia di fare musica assieme".

Per quello le canzoni sono state incise in una settimana?
"Pressoché una al giorno. Certo, erano pronte da suonare, e io sono uno veloce, ma lì sono rimasti sbigottiti. Credo che siano abituati a gente che lavora per una major, quindi ha un grande budget a disposizione e prova e riprova finché non sono finiti i soldi. Ma l’idea di impiegare 8-10 giorni a incidere una sola canzone mi fa ridere. Ovvio, io ho ben altri budget, ma è anche questione di filosofia musicale: la canzone deve essere spontanea, immediata".

Questo spiega il titolo del disco?
"Non solo. Un po’ si spiega con l’idea di avere inciso in un’ex chiesa, mi ha colpito l’idea di fare musica in un posto dove ci si curava dell’anima. E poi c’entra la scuola dove insegno ogni estate. La Naropa University in Colorado, fondata dal buddista tibetano Chögyam Trungpa, che fu molto vicino al monaco che negli anni Sessanta convinse David Bowie a fare musica invece di entrare in un monastero. Molti degli insegnamenti di questa scuola parlano proprio della coscienza. Mi sono messo a pensare dove possa essere la mia, finché ho capito che è il rock! Il resto lo hanno fatto le mie lunghe ore di meditazione quotidiana e gli acquisti compulsivi di dischi e libri in negozietti di seconda mano, cose che probabilmente non potrò mai ascoltare e leggere tutte in vita mia, ma trovo che emettano vibrazioni benefiche".

È dalla meditazione e dai libri che vengono i testi, raffinati, rarefatti, quasi letterari?
"Sa, tempo fa pensavo che facendo musica dovessi dedicarmi alla pratica ogni giorno. Solo dopo anni ho capito che mi fa molto meglio meditare e portarmi dietro alcuni taccuini su cui scrivo quel che mi viene in mente al volo, che sia in treno a casa. Io fisso i concetti, poi qualcosa accadrà".

E cosa c’è di lei in queste canzoni?
"Nulla. Raramente scrivo di me nelle canzoni, raramente c’è l’Io, sia come pronome che come concetto. Insomma cerco di de-egoizzare i testi, di scrivere di cose universali, di sentimenti di tutti. I miei appunti a volte diventano poesie, a volte canzoni, dipende come distruggo e ricostruisco i concetti, se con rime e metrica o senza. Certo, scrivere è fondamentale per uno venuto a New York negli anni Settanta per respirare il clima artistico ed entrato in contatto con musicisti che erano anche giganteschi scrittori, come Lou Reed".

Le canzoni di questo disco sono romantiche, parlano di primavera, amore, sentimenti di fraternità umana. Il che contrasta con il mondo che viviamo adesso, per di più in un artista che dell’occuparsi di politica e attualità ha fatto da sempre un caposaldo.
"Resto eccome con le mie idee, anche se questo in effetti non è un disco politico. O meglio, non ha argomenti politici. Ma appunto scrivere della fraternità umana, dello stare bene assieme, del rispetto, cosa c’è di più politico di tutto questo, adesso? L’apatia del momento è comprensibile, ma è la cosa peggiore che possiamo immaginare. Dobbiamo parlare tra di noi, socializzare con gli estranei, fare ognuno i nostri piccoli e grandi doveri quotidiani. Devo ammettere che i primi passi di Trump sono stati una tragedia anche peggiore di quel che immaginavo, sta avvelenando il mondo, costruendo muri di mattoni e di parole, governando in nome della finanza e delle banche. Con la mia compagna Eva Prinz abbiamo partecipato alla marcia delle donne a Washington il giorno dell’insediamento del presidente. Un gran momento, ma credo che noi musicisti possiamo fare di più".

Ha proposte?
"Certo. Dovremmo circondare la Trump Tower tenendoci per mano e iniziare a cantare e suonare fino a farla crollare. Come le mura di Gerico. La musica ha questa forza, anche fuor di metafora".
Riesce a trovarla e viverla ancora, questa forza, dopo 40 anni di rock? In sostanza, non si è ancora scocciato?
"Potrei fare questo ragionamento se la musica fosse un lavoro. Ma lei chiederebbe a un prete di smettere di dire messa, di non leggere più la Bibbia, di non vivere per Dio? Ecco, per me la musica è una vocazione, una passione, un piacere. Chiaro, se riflettessi su cosa è diventata, ovvero un’industria, un mondo poco comprensibile tanto è complicato, dovrei fare qualche ragionamento del genere. Ma preferisco guardare avanti e cercare le cose belle che ancora ci sono e continuano a esserci".

Un po’ delle cose belle della musica sono dipese e dipendono anche da lei, cioè dai Sonic Youth. Non le dà fastidio che tutti le chiedano sempre della band?
"No, sono stati e sono parte della mia vita umana e artistica per trent’anni, metà della mia esistenza. Certo, io non sono stato solo loro. Ma capisco che questa band di normaloidi che faceva musica anormale abbia influenzato tantissimi giovani di allora e di oggi. E ne sono orgoglioso. La storia dei Sonic non finirà mai. C’è un'incredibile quantità di registrazioni dei Sonic Youth mai ascoltate. Migliaia e migliaia. I Sonic Youth non moriranno mai. Ma senta, posso chiederle io una cosa ora?".

Prego.
"C’è qualcuno vicino a lei che sta ridendo?".

In effetti sì, mi scusi, ora mi allontano.
"Ma no, anzi faccia i complimenti a quelle persone, hanno una risata musicale, deliziosa. La musica per me è dappertutto".